Il miraggio necessario
Commento a cura di M. Luisa Salerno
La mole di questo romanzo indurrebbe a credere che bisogna armarsi di impegno per leggerlo compiutamente. E invece sorprende l'agilità di una lettura che genera l'impressione di stare dietro ad una cinepresa che riprende, ora in modo panoramico, ora in modo selettivo le scene che via via si sviluppano con una straordinaria fluidità. Il regista è abituato, ma non rassegnato, alla routine della vita odierna, ma ha anche bisogno di osservare quanto gli sta attorno per interpretarlo in profondità. Il protagonista del romanzo è anche il narratore di vicende che scopriamo simili a quelle di noi comuni mortali, con la differenza che esse vengono setacciate dalla sua sensibilità di uomo e di artista. La sua sensibilità di uomo si coglie in tanti aspetti, dal conforto che cerca nella letteratura, nell' arte e nella musica, alla sua "fame d'amore", alla ricerca di semplici gesti,di piccoli segnali che diano un senso alla vita e la carica per ricominciare. Questa sensibilità si coglie emblematicamente nella metafora della vita, quando fa dire al vecchio Nildo: " ... siamo foglie di una foresta piena di vento. Foglie gialle e foglie dorate, è qui che sta la differenza, ma in fondo sempre foglie sono e tutte con la stessa fine. C'è quella che sta vicino al tronco e quella sull'ultimo ramo, quella relegata in basso dove non arriva mai il sole e quella che ne ha troppo e si brucia. Il picciolo si stacca per tutte e finiscono a testa in giù, piantate tra le altre foglie già marcite per aumentare il livello del letame ... " Questa metafora evoca alla memoria versi di antichi lirici greci: "(= noi, quali le foglie fa germogliare la stagione numerosa di fiori ... ) recitava Mimnermo sul finire del VII sec. a.C.
La sensibilità di artista si coglie nella manifestazione palese del suo buon gusto, nella visione prospettica di certi spazi, nella partecipazione emotiva a fenomeni naturali come l'alba, il tramonto o la pioggia, con descrizioni cosi coinvolgenti da risultare veri e propri "quadri d'Autore". Non a caso Nicola Falcone è anche pittore. Nell'immaginario collettivo "pittore" è colui che sa comunicare la sua sostanza di affetti, la sua visione della vita e del mondo solo con la magia delle forme e dei colori, ma nel caso di Nicola Falcone assistiamo al pieno possesso del linguaggio iconico e del linguaggio verbale, la qual cosa l'esperienza insegna che avviene solo di rado. Quanto a tipologia testuale, il romanzo si può definire autobiografico, di taglio psicologico, ma in realtà esso è anche un affresco della società contemporanea, con le sue contraddizioni: crisi della famiglia e necessità di amare, solitudine e ricerca di autentici rapporti umani, sfiducia nel presente ed ansia per il futuro, disprezzo per il falso progresso e nostalgia per una natura bucolica .....
Ci sono due affermazioni in questo romanzo che colpiscono particolarmente perché rappresentano e auspicano la simbiosi tra chi compie l'atto creativo e chi ne fruisce: "scrivere è un atto d'amore verso gli altri" e "leggere è sentire una nuova presenza". Esse possono essere assunte come chiave di lettura dell'opera. Il protagonista, pur nel chiuso della sua casa e del suo studio, osserva "lo scorrere dell' altra vita" e nello stesso tempo aspira a vivere una vita intensa, con il fervore delle sue passioni, con l'anelito alla bellezza e con il bisogno di amare. Stefano, il protagonista, teme la solitudine e avverte la distinzione tra "sentirsi soli" ed "essere soli". Essa viene intesa anche come paura di affrontare se stessi. Stefano vive un presente assonnato e stanco, in cui si alternano personaggi del passato e personaggi del presente, ora sotto forma di ricordo, ora sotto forma di miraggio, miraggio necessario perché la dimensione del sogno è quella che gli dà la molla, l'energia per non lasciarsi vivere, per combattere la solitudine: il sogno come esplosione di umanità, emotività e creatività.
La soluzione narrativa adottata è sicuramente felice, perché l'Autore con umiltà delinea un itinerario umano costellato di fragilità, ma proteso alla ricerca ed alla affermazione del suo opposto.
Dal sapiente alternarsi di queste contraddizioni (ed anche il titolo del romanzo è eloquente in questo senso) scaturisce il fascino di quest' opera che avvince il lettore con il suo periodare agile e conciso, armonioso e ben articolato, all'insegna della "concinnitas" di stampo ciceroniano e di un lessico decisamente appropriato: termini come. "apogeo, perigeo, ipogeo" vengono utilizzati e distribuiti con una perizia degna del "limae labor" di oraziana memoria. Risultano, poi, molto efficaci alcune figure retoriche come la metafora, la sinestesia e la personificazione. Espressioni come "i vetri non sanno respirare",o "la spiaggia si è rassegnata", o "la curiosità del vento", o "la disperazione delle onde" ci danno l'immagine di una Natura umanizzata, forse in contrapposizione al degrado cui l'Uomo, giorno per giorno, l'ha indirizzata e, in larga misura, consegnata.
In sostanza le inquietudini dell'uomo di oggi vengono espresse con immagini dal nitore classico.
Per concludere, viene spontaneo un parallelismo tra l'Autore e Luigi Pirandello, perché entrambi puntano lo sguardo per speculare, per penetrare le cose in modo incisivo, a fondo, senza veli, senza falsi pudori, ed entrambi dal grigiore del vivere quotidiano governato ed inaridito dalle leggi del profitto, del successo e del perbenismo, anelano ad una vita più autentica, animata dal palpito delle emozioni.
Maria Luisa Salerno